un’esperienza presso l’Università di Trento, tra Dante e Sofocle
Non per odiare insieme ma per amare insieme io sono nata (Sofocle in Antigone)
il Tridente non è solo il simbolo della Maserati… o l’arma degli dèi greci (Poseidone) o romani (Nettuno)…
Sono stato qualche giorno presso l’Università di Trento che organizzava le Giornate tridentine di retorica, con un altro tridente costituito dal contesto europeo, dalla logica del dibattito e dalla ricerca del fondamento.
Sono stato accolto davanti alla stazione dal più grande dei poeti: Dante Alighieri, dante causa appunto…
E non mi ha deluso.
In questo link la sconosciuta presenza di Dante e Virgilio in una delle opere di Leonardo da Vinci. Nelle giornate tridentine Dante mi ha mostrato, come si scrive nel monumento, CIÒ CHE POTEA LA LINGUA NOSTRA. E può ancora fare il linguaggio, anche dentro l’esperienza giuridica.
Nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università nella prima giornata tridentina si è discusso sulle pressioni europee, poi sulla capacità essenziale per il giurista di comunicare vivendo il dibattito, mediando tra opposte fazioni, anche provando a ristrutturare e riformulare le diverse volontà delle parti (reframing).
Alla fine si è cercato il fondamento della giustizia. Particolarmente significativa e introduttiva mi sembra ora, ex post, la base del monumento di Dante con Minosse: secondo gli studiosi Minosse si trova all’inferno sopra il drago e sembra assicurare la giustizia. Lo avevo fotografato perché mi ricordava la scultura del pensatore di Rodin, una figura prossima a quella del giurista e non immaginavo queste implicazioni infernali, forse sono il segno che per trovare il fondamento della giustizia bisogna attraversare situazioni molto, impegnative, anche tragiche. “Non si può stare vicino ad uno sciagurato senza vivere, molto o poco la sua sciagura” (il giurista Francesco Carnelutti in Vita di avvocato p. 7 qui)
Forse anche per questo, nella seconda giornata tridentina, si è cercato il fondamento nella tragedia greca. Sofocle ha scritto la tragedia di Antigone: lei si batte per cercare la sepoltura del fratello Polinice
Nell’impossibilità di lasciar spazio all’amore per il fratello si narra del suicidio di Antigone in prigione. Alla stessa funesta sorte parteciperà anche il figlio di Cleonte, Emone, promesso sposo di Antigone e la moglie di Cleonte, Euridice.
Abbiamo analizzato Antigone sotto diversi profili:
- come difensore di una tradizione del suo tempo contrapposta a quella spietata difesa dal re Cleonte.
- come, almeno inizialmente, vittima innocente (come, per certi aspetti, Edipo) che subisce una pena sproporzionata (la prigionia a vita in una grotta) e quindi più meritevole di tutela del re Cleonte che l’aveva fatta rinchiudere.
Poi nella potenza della poesia tragica ho voluto personalmente ricordare ai presenti un verso specifico della tragedia di Sofocle, forse la parola più grande di Antigone, quella capace di esprimere il momento maggiormente espressivo di una donna, con una esplosione di densità poetica, che travalica la sua volontà ma, forse, non la misura del suo affetto fraterno. La poesia qui trapassa tempo e spazio e libera pura potenza. La traduzione letterale dal greco la riporta Renè Girard nel suo libro Delle cose nascoste dalla fondazione del mondo:
“Non per odiare insieme ma per amare insieme io sono nata“
La misura incondizionata di obbedienza e di affetto di Antigone anticipa, per certi aspetti, il futuro e lo rende percorribile. Solo nell’ascolto del tragico potrà trovare spazio la futura dimensione giuridica e spirituale del mondo romano e cristiano. La giustizia cercherà progressivamente, nel diritto romano e nella tradizione giudaico cristiana, di realizzare quel che appartiene, nella verità, allo specifico più profondo di ogni persona: un nuovo “suum” (Capograssi con riferimento ad uno sviluppo della celebre definizione di giustizia di Ulpiano). Diventerà una giustizia attiva e positiva. Caritas plenitudo legis scriverà un grande filosofo del diritto nato vicino a Trento: il roveretano filosofo del diritto Antonio Rosmini. Non è una carità che elimina il conflitto e lo delegittima, non è una glassa perbenista o rassicurante che lo abbellisce all’esterno, ma è possibilmente un sapiente lievito tutto da individuare concretamente, dentro il dibattito, dentro la multiforme e mobile presenza della vittima vera. Questa carità non appartiene al giurista, ma volendo si lascia trovare dentro le circostanze specifiche e potrà sostenerlo nella difesa. Si tratta, direbbe Rosmini; di “sforzarsi di lasciarsi trovare”.
Forse anche con la parola poetica di Antigone, con questa densità infinita di distinguo e sviluppi, anche la filosofia del diritto e le difese legali possono ricevere un tale appagamento che le renda capaci di cercare, con attenzione, dal profondo e nel concreto il loro vero fondamento.
Applicazioni pratiche: in momenti di disorientamento nello svolgimento del proprio lavoro è bene riflettere sul fondamento, sul “perché” del nostro lavoro, soprattutto sul “per chi” stiamo lavorando. Non abbiamo di fronte situazioni stabili e chiare ma dinamiche e complesse. In questo scenario fatto di tradizioni nascoste (il prestigio), di tentate, sproporzionate vendette private, inefficaci o inesistenti punizioni (spesso nel sistema giudiziario) si può valutare quali sono i profili mobili della vittima innocente per continuare o meno ad assistere una persona.
Per approfondimenti consiglio tra gli altri il complesso testo di Giuseppe Fornari: qui
(Gli appunti sopra indicati costituiscono una bozza provvisoria e potranno essere precisati e sviluppati nelle loro implicazioni e conseguenze pratiche in una eventuale pubblicazione digitale o cartacea del suo autore)
Temi: Tridente, Concilio, fondamento, Carnelutti, Antigone, Rosmini, Fornari